Miopia

Si tratta del disturbo visivo più diffuso nei paesi occidentali. In Italia parliamo di circa nove milioni di persone che, fra i quasi ventitré che portano gli occhiali (1997) soffrono di miopia… quasi il 40% del totale.

Si parla di “miopia di indice” riferendoci all’aumento dell’indice di rifrazione a carico di cornea e cristallino, “miopia assiale” quando ci si riferisce alla lunghezza eccessiva del bulbo oculare, “miopia di curvatura” attribuibile alla curvatura eccessiva della cornea, “miopia traumatica” quando dipende da traumi subiti dal bulbo oculare. A prescindere dalla tipologia, i raggi luminosi nella miopia non cadono a fuoco direttamente sulla retina, ma convergono in un punto davanti ad essa, con il risultato visivo per il quale gli oggetti e le immagini vicino alla persona saranno a fuoco, mentre quelle più distanti risulteranno confuse, fuori fuoco.

La convinzione principalmente diffusa è che la miopia sia ereditaria, ovvero nascere in una famiglia dove i membri abbiano, o abbiano avuto (gli avi), problemi di miopia, determina l’insorgenza della patologia stessa. Diversa è l’interpretazione psicosomatica del  problema, per la quale “… i soggetti miopi sono timidi, introversi, introspettivi, molte volte cocciuti, persi nei loro pensieri ed evitano il confronto con gli altri… La loro visione interpersonale è confortevolmente messa a fuoco più sulle attività vicine che su quelle lontane…” (Ken Dychtwald). Secondo Lowen, l’occhio miope è in “parziale stato di shock”, provocato, ad esempio, da uno sguardo di rabbia o di odio della madre. Per Shelton, la miopia è spesso il risultato di una cattiva alimentazione e/o di uno stato di tossiemia. Per altri il problema dipende dalle difficoltà di adattamento alla vita scolastica, in virtù del fatto che nella maggior parte dei casi la miopia insorge durante i primi anni della vita scolastica.

Noi, sulla base della nostra esperienza, ci permettiamo una serie di riflessioni.

Secondo il nostro parere, i fattori ereditari giocano di sicuro un ruolo importante. Avere nelle proprie registrazioni fisiche e mentali, derivanti dai nostri genitori ed avi, esperienze della malattia, “predispone” in qualche modo alla sua insorgenza. D’altro canto possiamo osservare che non sempre chi soffre di miopia ha genitori e progenitori con lo stesso problema visivo, quindi tale regola introduce sovente qualche eccezione. Prendiamo ad esempio, per meglio spiegare il nostro punto di vista, un bambino armeno che cresce in una famiglia francese dalla quale è stato adottato all’età di due giorni di vita. Il bambino, quando imparerà a parlare, parlerà il francese… eppure nelle sue registrazioni fisiche e mentali ha generazioni intere di comunicazioni verbali avvenute in lingua armena. Allo stesso modo potremmo osservare eccezioni in tutte le altre ipotesi sopra esposte, ma mai sinora abbiamo conosciuto qualcuno che rappresentasse un’eccezione rispetto a ciò che Bates indicava come causa principale per la miopia: la tensione mentale dovuta allo sforzo di vedere lontano.

A nostro avviso, e sempre sulla base dell’esperienza realizzata sinora, ogni miopia risulta sempre essere collegata in vario modo con lo sforzo di vedere lontano. Proprio per questa ragione, a prescindere dai fattori psicologici, psicosomatici, alimentari, ecc., il disturbo visivo può essere sempre ridotto, ed i suoi effetti negativi alleviati, quando la persona che ne è affetta impara come eliminare lo sforzo di vedere in lontananza.

In linea con altri, abbiamo notato che ogni volta che si cerca con sforzo, con intensità, in maniera dirompente quasi, di ottenere qualcosa, sembra che l’oggetto del nostro desiderio si allontani ulteriormente da noi… proprio spinto lontano dalla nostra stessa energia verso di esso indirizzata. Allo stesso modo il vedere “lontano” se perseguito assiduamente e con sforzo, determina una condizione controproducente che si realizza con la meccanica del “gatto che si morde la coda”: cerchiamo di vedere lontano, non ci riusciamo perfettamente bene, aumentiamo lo sforzo in tal senso, la nostra visione si riduce ulteriormente.

Ciò che Bates insegnava, e che noi condividiamo pienamente, a prescindere dai tempi attuali di molto diversi da quelli dell’inizio del secolo scorso, è proprio la condizione di “visione rilassata” e l’atteggiamento mentale disteso e naturale ad essa collegato. Riteniamo tale condizione il presupposto indispensabile per poter veder bene in lontananza.